Onmic PTCO – La mia sensibilità: una virtù o una condanna?

Ognuno di noi almeno una volta nella vita si è chiesto quale potesse essere il tratto distintivo della propria anima,

quel tratto che ci rende unici e speciali… La verità però è che non è facile guardarsi allo specchio e fare un’analisi di noi stessi, non è facile abbattere ogni barriera e ogni nostra paura, accettandoci per ciò che siamo.

Ma se non avessimo paura di calare le nostre maschere, e spogliarci ”nudi” mostrando al mondo intero chi siamo veramente, sarebbe tutto più semplice? Bisognerebbe provare per comprendere, per questo io ho deciso di calare la mia di maschera.

Ho avuto coraggio. Ho chiesto a me stessa quale fosse la mia virtù. “La sensibilità”, una voce mi sussurra all’orecchio. Mi focalizzo su questa parola, Sensibilità, apparentemente così semplice, ma allo stesso tempo così complessa.

_________________________________________________________________

“Un cuore comprensivo è tutto, è un insegnante, e non può essere mai abbastanza stimato. Si guarda indietro apprezzando gli insegnanti brillanti, ma la gratitudine va a coloro che hanno toccato la nostra sensibilità umana. Il programma di studi è materia prima così tanto necessaria, ma il calore è l’elemento vitale per la pianta che cresce e per l’anima del bambino”.     (Carl Gustav Jung)

_________________________________________________________________

La sensibilità: o c’è l’hai o non c’è l’hai, si dice sempre. La sensibilità è un valore, una virtù, un dono che pochi hanno, è la capacità di intuire le tante sfaccettature e le parti più segrete delle altre persone. È la capacità di capire a fondo la persona che si ha davanti, cogliere il suo dolore e dividerlo in due affinché i problemi possano essere superati insieme. Essere sensibili significa essere in grado di far comprendere al prossimo che non si è mai soli in questo mondo perché ognuno di noi ha una battaglia contro la quale sta lottando, una battaglia che se condivisa meno dolorosa.

_________________________________________________________________

“Capire il prossimo è la cosa più difficile. Devi provare a mettere il tuo occhio e le tue orecchie e le tue dita in quello spazio misterioso tra la pelle di una persona e il suo cuore”.

_________________________________________________________________

Ma la sensibilità può essere anche una condanna. Non solo perché a volte sentire e percepire “troppo” può rendere la vita un inferno, ma anche perché gli altri potrebbero sfruttare questa sensibilità a loro vantaggio e colpirti nel profondo rendendola uno svantaggio e non più una risorsa. E poi, si dice che chi è sensibile vive in punta di piedi per non disturbare nessuno, attraversando la vita senza fare rumore, perché tutto il rumore lo si ha dentro di sé.

Un rumore che talvolta può diventare insostenibile e insopportabile. Un rumore che si tramuta in dolore.

E se allora la mia virtù fosse una condanna?

Insomma, se sentire tutto in maniera così ampliata fosse una tortura indicibile?

Nella vita non è facile mostrare al mondo intero la purezza del proprio cuore, molti potrebbero usare la sensibilità come un’arma.

È per questo che io sono responsabile solo delle mie azioni, e non di quelle degli altri.

Io non sono responsabile di un mondo fatto di occhi avidi.

Io sono responsabile del mio di mondo, sono responsabile solo di me stessa.

È forse questa una condanna?

Esporre la mia sensibilità alla luce? Esporre la mia anima alle lacerazioni e alla cattiveria del mondo?

È giusto mettere in gioco il mio cuore e rischiare che gli altri possano approfittarsene?

O forse è una virtù mettere in ballo la propria sensibilità, aiutando il prossimo ad usufruirne come strumento per

elaborare risposte migliori alle sfide che la vita propone?

Non è facile affrontare la vita avendo costantemente la paura di uscire allo scoperto e mostrare a tutti la mia essenza.

Molte volte mi capita di osservare la mia immagine e di avvertire una voragine.

Ho paura, ma forse mi basta accendere la luce cosicché il buio possa ridursi.

Io sono un sensibile, e non devo avere paura di esserlo.

Eppure così come sono capace di gioire profondamente, sono anche capace di soffrire intensamente.

E allora, la mia sensibilità, è una virtù o una condanna?

Valeria D’Alessandro