Il termine globalizzazione è oggi sulla bocca di tutti, ma per cogliere a pieno il suo vero significato è necessario considerare che con questo concetto vanno compresi non solo la crescita e l’accelerazione degli scambi, non solo lo sviluppo delle imprese multinazionali e l’internazionalizzazione dei beni e dei servizi, bensì tutto il complesso delle conseguenze che nascono dall’interdipendenza tra le trasformazioni del quadro economico, il sistema socio-demografico e le istituzioni della politica.
Da una parte infatti la globalizzazione può esercitare effetti positivi sull’economia mondiale. In particolare, la liberalizzazione e la crescita degli scambi commerciali e finanziari potrebbero stimolare un afflusso degli investimenti verso le aree meno dotate di capitali e favorire una tendenziale riduzione del divario economico fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. I progressi nel mondo dell’informazione e della comunicazione hanno inoltre permesso una straordinaria riduzione delle distanze in termini di tempo e di spazio: singoli individui o interi gruppi sociali, anche se collocati agli estremi confini della Terra, e perfino eventi accaduti in lontanissimi luoghi sconosciuti, entrano in contatto e interagiscono.
D’altra parte però, dati gli squilibri e le forti differenze economiche, tecnologiche, culturali, esistenti tra i diversi Paesi (o all’interno di uno stesso Paese), gli eventuali effetti positivi dei processi di globalizzazione non si distribuiscono in modo uniforme. Non bisogna infatti dimenticare che all’origine di tali processi resta comunque preminente la dimensione economica: la globalizzazione dei mercati finanziari sancisce la supremazia delle forze di mercato sulle scelte politiche ed economiche degli Stati nazionali. Tutto ciò avviene nella cornice di una società mondiale in cui le garanzie di ordine territoriale e statale e le regole di una politica legittimata dal pubblico consenso perdono il loro carattere vincolante.
L’insieme di queste trasformazioni si manifesta in sostanza in un indebolimento della solidarietà collettiva. L’accrescimento delle esigenze di competitività e di flessibilità delle imprese, dei mercati finanziari, del lavoro, delle tecnologie, entrano in conflitto con la conservazione del principio di condivisione su cui si fonda la struttura sociale. La globalizzazione dissocia inoltre l’individuo dalle sue solidarietà sociali primarie, offrendogli in cambio la partecipazione ad entità sociali più ampie e una maggiore libertà di scelta dei propri ambiti relazionali. L’obiettivo finale di ciascun individuo è l’autorealizzazione, la soddisfazione personale, che viene sempre di più percepita come un diritto. L’esasperazione del processo di individualizzazione, la crescente soggettività hanno come conseguenza non solo la crisi di alcuni ambiti partecipativi, per cui diventano importanti gli aspetti strettamente personali della vita a scapito dell’impegno pubblico, ma anche una trasformazione dei rapporti sociali.
Riportiamo le parole del sociologo Zygmunt Bauman:
La freddezza nei confronti degli “stranieri che sono fra noi”, gli alieni che diventano vicini e i vicini trasformati in alieni, segnala un abbassamento della temperatura in tutte le relazioni umane, e in ogni ambito della vita. Sono fredde le persone che hanno dimenticato da tanto tempo quanto calore possa trasmettere la solidarietà umana; quanta consolazione, quanta serenità, quanto incoraggiamento e quanto piacere possano derivare dal condividere il proprio destino e le proprie speranze con altri: “altri come me” o più precisamente altri che sono “come me”, proprio perché condividono le mie stesse difficoltà, la mia sofferenza e il mio sogno di felicità, e ancora di più perché io sono sensibile alle loro difficoltà, alla loro sofferenza e ai loro sogni di felicità.
In un contesto in cui le identità non sono stabili e le interazioni tra le persone diventano illusorie, il dialogo diventa sicuramente più complesso. Se prima infatti le interazioni avvenivano faccia a faccia ora tutto sembra essere messo in discussione. Ricordiamo che una caratteristica propria dei contesti di co-presenza è che gli individui essendo fisicamente accessibili, sono anche esposti alla possibilità di essere aggrediti. Dunque, ogni interazione è potenzialmente minacciosa. Tuttavia, gli individui non sembrano allarmati dai rischi connessi alla presenza di altre persone, anche se questi ultimi sono degli estranei. La fiducia reciproca era un elemento che prevaleva, anche se non si capisce bene quale fosse la sua origine e da dove provenisse. Forse dai valori istituzionalizzati nella nostra cultura; “forse”, perché le persone tendono a manifestare agli altri di essere persone affabili e che non sfrutteranno le opportunità di aggressione a loro disposizione. Certo è vero che siamo in un contesto in caduta, sembrerebbe quasi che le persone oggi vogliano buttarsi in un vortice di pessimismo e individualità, forse il problema è che siamo abituati ad avere tutto e subito, non riusciamo ad essere più riflessivi. Siamo slegati gli uni dagli altri pur stando in rete, l’unico filo che ci accomuna è uno smartphone, una fotocamera interna e uno schermo. Le nostre menti sono legate, i nostri pensieri sono in gabbia, siamo diventati prigionieri di un sistema di consumo che ci modifica e ci influenza a suo piacimento. Ciò che ci rimane sono le nostre identità ormai mutevoli, distrutte; possiamo essere chiunque vogliamo in qualunque momento, in qualunque luogo o spazio fisico, senza renderci conto che l’essere una molteplicità di persone ci porta ad essere nessuno. È per questo che ormai viviamo nel pianeta degli uomini freddi, dove tra desideri dimenticati, pensieri inespressi e indifferenza, viviamo un’esistenza come spettatori e non come protagonisti, dove le azioni delle persone sono governate da un clima gelido di indifferenza.
Daniela Siano