Un’impronta del pollice della mano sinistra di un maschio adulto: è la ricostruzione scientifica di un’impronta digitale di Leonardo da Vinci,
ottenuta grazie all’analisi, con sofisticate tecniche dattiloscopiche, di oltre 200 impronte lasciate su 52 fogli leonardeschi. La struttura dell’impronta, sostengono gli esperti, è tipica del 65% della popolazione araba e rafforza l’ipotesi che la madre di Leonardo fosse di origine orientale. Gli studi sulle impronte di Leonardo sono state illustrati da Luigi Capasso, direttore dell’istituto di antropologia e del museo di storia delle scienze biomediche dell’Università di Chieti e Pescara, da Alessandro Vezzosi, direttore del museo Ideale di Vinci e tra i più autorevoli studiosi di Leonardo, dal maggiore Gianfranco De Fulvio, comandante del reparto dattiloscopia preventiva del Racis di Roma, e dalla storica della medicina dell’Università di Firenze Donatella Lippi.
Sulle pagine e sui dipinti di Leonardo – ha spiegato Capasso – possiamo trovare tantissime tracce, non necessariamente dell’epoca, come per esempio macchie, aloni e tracce biologiche. Il nostro primo compito è stato quello di distinguere le tracce sincroniche da quelle non sincroniche e ci siamo concentrati sulle macchie d’inchiostro, dato che è stato più semplice stabilire se la macchia derivava dallo stesso inchiostro usato per vergare le frasi. Proprio nelle macchie d’inchiostro sono state scoperte numerose impronte digitali, anche se parziali, che hanno portato alla ricostruzione di un intero polpastrello dell’artista.
L’impronta – secondo Capasso – ha tra l’altro una struttura a vortice con diramazioni a y, dette triradio: questa tipologia di impronte è comune a circa il 65% della popolazione araba. A questo punto – ha affermato Vezzosi – si rafforza l’ipotesi che la madre del genio fosse orientale, nello specifico, secondo i miei studi, una schiava. L’impronta di Leonardo, oltre a essere l’unica testimonianza paleobiologica dell’artista, può anche essere utile ad accertare attribuzioni artistiche o anche a studiare l’influenza della ridotta mobilità della mano destra negli ultimi anni di vita del maestro.
Francesco Martini