Sembra finalmente superata la convinzione che i laureati in discipline umanistiche siano destinati a vagare alla ricerca di una meta nel perduto universo del lavoro.
È vero che restano precari più a lungo dei loro colleghi ingegneri o tecnici, ma a distanza di cinque anni dal conseguimento del titolo i dati cambiano: 93 per cento è la quota di occupazione (inclusa la formazione retribuita) dei laureati nelle aree tecnico-scientifiche, 87 per cento quella dei laureati nell’area umanistica. Segnali di preoccupazione arrivano invece dai primogeniti delle lauree triennali avviate con la riforma universitaria: nonostante il primo intento della riforma fosse quello di ridurre il numero di fuori corso velocizzando i tempi di ingresso nel mondo del lavoro, è ancora alta la percentuale degli studenti in discipline umanistiche che non riesce a laurearsi in tempo: in media il 35,6 per cento.
La quota di studenti che, nel ritmo didattico serrato dei nuovi corsi, ha la possibilità di fare esperienze all’estero si ferma intorno all’8 per cento, a eccezione degli studenti in Lingue tra i quali la percentuale è più alta (39,2 per cento), ma ancora insoddisfacente. Sono questi alcuni dei dati che emergono dal “Quaderno sullo stato attuale della formazione umanistica” realizzato da Almalaurea. Il rapporto, che ha coinvolto 32 mila studenti di vecchio e nuovo ordinamento (18 mila i primi, oltre 14 mila i secondi), riguarda i sette corsi di laurea più frequentati: Lettere, Filosofia, Storia, Lingue e letterature straniere, Conservazione dei beni culturali, Scienze della Comunicazione, Dams.
Francesco Martini