Essere bambini è un mestiere difficile…difficilissimo se si considera che secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro i bambini al lavoro nel mondo sono oltre 250 milioni. Le forme del lavoro minorile sono tra le più diverse, ma spesso le vittime dello sfruttamento economico vanno ricercate nei meandri nascosti dell’economia informale: agricoltura (70% del totale), lavoro domestico, commercio al minuto, prostituzione, attività illegali.
Molti bambini operano nella catena del subappalto e producono beni destinati anche al nostro consumo. Ma ciò non avviene solo in Pakistan, India, Bangladesh, Cina o Thailandia: recenti indagini giudiziarie hanno messo in evidenza come anche in Italia vi siano moltissimi laboratori clandestini dove gli adulti lavorano in nero e sono presenti anche molti bambini. I bambini vivono spesso in condizioni drammatiche, con orari disumani, salari minimi ed assenza di ogni tutela della salute.
Secondo un’indagine di International Union Rights, il 70% del lavoro minorile nel sud est asiatico è legato alle imprese che esportano nei paesi industrializzati o ad imprese transnazionali. Non ultime le fabbriche di tessuti o di giocattoli. Per avere una visione completa del fenomeno è però necessario affrontare la questione dal punto di vista della sua distribuzione.
Sebbene il lavoro minorile sia presente in tutto il mondo, esistono delle regioni geografiche in cui l’impatto è decisamente maggiore. Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori vivono soprattutto in Asia, ma che è l’Africa il continente in cui, in proporzione, è più alta la probabilità che un bambino sia costretto ad un’occupazione precoce. Tuttavia, i baby-lavoratori sono numerosi nei paesi a medio reddito e non mancano neppure nei paesi industrializzati: in Italia l’ISTAT ne ha censiti circa 145.000.
Nei paesi dell’Europa centrale e orientale il numero di bambini che lavorano è aumentato per il repentino passaggio da un’economia centralizzata a una di mercato. Anche nei paesi industrializzati come nel Regno Unito e gli Usa la crescita del settore terziario e la richiesta di una forza lavoro più flessibile hanno contribuito all’espansione del fenomeno.
La risposta alla domanda perché i minori lavorano? non è semplice né immediata in quanto le cause sono molteplici. Per esempio è evidente che il lavoro minorile non sia una prerogativa solo dei Paesi che, con eccesso di semplificazione, possiamo definire poveri; anche nei Paesi più ricchi il fenomeno è presente, ovviamente le cause dipenderanno da fattori diversi, perché diverso è il contesto.
Il lavoro minorile è un fenomeno assai complesso e non esistono soluzioni semplici. Anche se tutti abbiamo imparato a conoscerlo attraverso le storie e i volti dei piccoli fabbricanti di tappeti, come Iqbal Masih, non è pensabile che il lavoro minorile scompaia dal mondo in tempi brevi. Segnali positivi sono però visibili. Il fenomeno del lavoro minorile infatti, pressoché ignorato dalla comunità internazionale fino a metà anni ‘90, è oggi compreso e affrontato con strumenti mirati e le strategie di contrasto fanno tesoro di esperienze sempre più numerose e significative.
Dal 1999 ad oggi sono ben 132 gli Stati che hanno ratificato la Convenzione n. 182 dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sull’abolizione delle forme peggiori di sfruttamento economico dei minori. E si stima che dal 1996 ad oggi il numero dei bambini lavoratori nel mondo sia diminuito di 40 milioni di unità, nonostante l’aumento della popolazione infantile globale.
Sono i primi segni di successo dell’impegno messo in campo in questi ultimi anni, e che soltanto la volontà degli Stati e la solidarietà dei cittadini potrà rendere duraturo. Il lavoro minorile è una piaga mondiale che va combattuta su più fronti. Il punto di partenza resta però la disponibilità di dati precisi e affidabili sull’effettiva diffusione del problema, secondo parametri condivisi a livello internazionale. Questo sarà possibile solo in un gioco di squadra che partendo dai singoli individui arrivi a coinvolgere la popolazione mondiale passando attraverso la stretta collaborazione tra governi e organizzazioni internazionali.
“Gli Stati riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale […] (Convenzione ONU sui diritti dell´infanzia, art. 32)
Francesco Martini