Gli atti di bullismo e di cyberbullismo sono l’espressione della scarsa tolleranza e della non accettazione di chi è “diverso”
per etnia, religione, caratteristiche psicofisiche, genere, identità di genere, per orientamento sessuale ovvero per particolari realtà familiari.
In particolare, i ragazzi con disabilità sono vittime frequenti dei “bulli” che manifestano enfatizzando pregiudizi ancora radicati nel tessuto familiare, sociale e scolastico.
La “diversità” dell’altro si traduce inesorabilmente in un ostacolo alla socialità e alla solidarietà, piuttosto che rappresentare una risorsa nella relazione, determinando l’esclusione dal contesto scolastico o sociale di chi vene ritenuto “diverso”. Dalle differenze, al contrario, possono nascere nuove opportunità di crescita e di sviluppo; è importante, per questo, parlare delle diversità, non nasconderle e accettarle incondizionatamente. Quando i bambini notano le differenze e pongono domande del tipo “perché lui è diverso da me”? bisognerebbe rispondere con onestà in modo semplice e rispettoso, spiegando che ciò che vedono come diverso da loro non deve spaventare perché non siamo tutti uguali!
Alda Merini si domandava: “Chi decide chi è normale”? Ognuno di noi ha le proprie caratteristiche che lo rendono unico, e questa è una risorsa, non un problema da eliminare.
Le diversità esistono, ci differenziano, ma non ci rendono diversi ognuno di noi ha il proprio specifico modo di vivere e stare “nel” mondo e “con” il mondo.
La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza statuisce che ogni bambino deve essere educato all’accettazione dell’altro indipendentemente dal colore, dal sesso, dalla religione, dalla disabilità. Questo è il diritto alla diversità e all’unicità.
“Tutti i bambini hanno diritto a non essere presi in giro per le loro diversità o problemi. Ogni bambino deve impegnarsi a giocare con tutti e ad esprimere le proprie opinioni con qualsiasi altro bambino. Nessuno deve sentirsi escluso perché la vita di ognuno è speciale e va rispettata. Ogni bambino ha diritto a sentirsi unico, senza mai sentirsi dire che deve essere come tutti gli altri bambini. Ha il diritto di guardare il mondo salendo sulle spalle dei genitori e non dal basso tenuto per mano. Ogni bambino ha diritto ad essere rispettato indipendentemente dal carattere riservato o per le sue diversità. Lo stesso ha il diritto di vivere sereno senza essere deriso dagli altri”.
Secondo la Convenzione ONU di New York, in particolare l’art. 2, “Non discriminazione”, ogni bambino ha i diritti elencati nella convenzione e non ha alcuna importanza il colore della sua pelle, se è maschio o femmina, se è ricco o povero, ovvero a quale religione appartiene, né ha alcuna importanza che lingua parla.
Cosa significa la parola “bullo”?
“Bullo” è un giovane arrogante, violento, teppista, prepotente.
Fare il bullo significa dominare i più deboli con atteggiamenti aggressivi e prepotenti, sottoporre a continue angherie e soprusi i compagni di classe o di giochi fisicamente e caratterialmente più indifesi.
Cito la definizione di Dan Olweus: “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni”. (Olweus, 1996).
Ma quali sono i risvolti giuridici?
Il cyberspazio è una zona virtuale che ci mostra svariate condotte illecite realizzabili mediante l’utilizzo di internet, come per esempio cyberpedofilia, accesso illegale ai sistemi informatici, riciclaggio di proventi illeciti (cyberlaundering), nonché i comportamenti integranti il cyberstalking.
La normativa regionale Regionale Campana, con Legge regionale n. 11 del 22.05.2017 “Disposizioni per la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo nella Regione Campania” ha promosso una serie di interventi di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo.
Da un punto di vista sociale in ogni vissuto legato ad eventi di bullismo e cyberbullismo non ci sono mai vincitori né vinti, ma solo una persona che dietro la sua aggressività e la prepotenza che la contraddistingue nasconde profonde insicurezze ed ansie, che vengono riversate in azioni violente e di dominio, approfittando anche dell’omertà emotiva che domina l’ambiente in cui sia il “bullo” che la “vittima” vivono.
L’indifferenza collettiva impedisce il controllo morale, fuggendo da azioni di disapprovazione sociale e svalutazione che potrebbero scoraggiare certi comportamenti, ridimensionando l’ostilità che promuove azioni contro il prossimo. È nient’altro che quell’apatia sociale di chi come ci racconta Liliana Segre “si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa”.
Il termine inglese “Cyberbullying” nel 2002 venne utilizzato da Bill Belsey per indicare quelle fattispecie di violenza continua e sistematica, dalle molteplici forme quali prevaricazione e prepotenza, tra soggetti minorenni attuate tramite la rete internet, telefonia mobile, sui social network, utilizzando strumenti elettronici quali computer, tablet, telefonini, mediante sms, mms, e-mail, chat, blog, Skype, MSN, facebook, whatsapp.
Secondo la definizione proposta nel 2006 da Peter Smith unitamente ad altri giuristi anglofoni, per cyberbullismo si intende “una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che non riesce a difendersi”.
Una definizione tecnico-giuridica del termine cyberbullismo è desumibile nella Legge 29 maggio 2017, n. 71 in materia di “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo“, secondo la quale per «cyberbullismo» si intende “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito dei dati personali in danno di minorenni, nonché la diffusione di contenuti online il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo“.
La citata legge è dedicata esclusivamente alle condotte di cyberbullismo, ed ha una funzione preventiva e di contrasto del cyberbullismo mediante all’inserimento di apposite sanzioni disciplinari nei regolamenti dell’istituto scolastico per condotte di cyberbullismo, nonché attraverso l’approfondimento del fondamentale ruolo di un docente referente per ogni scuola, appositamente formato, con il compito specifico di coordinare le iniziative di prevenzione.
Non esiste una autonoma figura di reato, ma gli atti di cyberbullismo possono integrare fattispecie incriminatrici penalmente rilevanti, quali: lesioni (artt. 582 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), stalking (art. 612-bis c.p.), molestie (art. 660 c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), ingiuria (art. 594 c.p.), diffamazione (art. 595 c.p.), sostituzione di persona (art. 494 c.p.), furto d’identità digitale (art. 640-ter c.p.), interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis) ecc., ed essere penalmente sanzionati, anche sotto il vincolo della continuazione ex art. 81 comma 2 c.p., ove sorretti dal medesimo disegno criminoso.
Sotto il profilo della responsabilità civile troveranno applicazione gli articoli 2043 e 2048 del codice civile.
Li violazioni delle norme Costituzionali sono ascrivibili all’art. 2 Cost.: sono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo come la dignità della persona; art. 3 Cost.: principio di uguaglianza formale (1° comma) e sostanziale (2° comma); art. 15 Cost.: libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione; art. 28 Cost.: responsabilità degli insegnanti e dello Stato; art. 30 Cost.: è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli (culpa in educando e in vigilando); art. 33 Cost.: libertà di insegnamento (1° comma) ed istituzione di scuole statali (2° comma); art. 34 Cost.: libero accesso all’istruzione scolastica (1° comma), obbligatorietà e gratuità dell’istruzione dell’obbligo (2° comma), riconoscimento del diritto di studio (3° comma).
In questo contesto il ruolo della famiglia è fondamentale per fare prevenzione, in particolare con riferimento all’adempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da garantirne l’equilibrato sviluppo psico-emotivo, nonché la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale.
Ricorre, ai sensi dell’art. 147 c.c. (il D. Lgs. 154/2013 prevede la “responsabilità” genitoriale), responsabilità personale ed oggettiva in capo ai genitori per culpa in vigilando, per violazione dei doveri relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale.
In tale ipotesi giudiziaria l’onere probatorio, secondo la Giurisprudenza, ricade sul genitore che deve fornire la prova di aver educato il proprio figlio adeguatamente al tenore familiare e sociale, nonché in rapporto all’età, al carattere e all’indole.
Viviamo in un mondo arricchito dalla diversità. In questo mondo l’infanzia è un diritto. È fondamentale insegnare ai bambini, prima di ogni cosa, a rispettare tutti, nella condivisione di in un contesto relazionale che vive di diversità intesa come ricchezza sociale.
“La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna ma soltanto distruggitrice.” (Benedetto Croce)
Carmen Dello Iacono