Il 21 maggio 2001, 191 Paesi partecipanti alla 54ma Assemblea Mondiale della Sanità hanno accettato la nuova Classificazione Internazionale
del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (International Classification of Functioning, Disability and Health -ICF) come “standard di valutazione e classificazione di salute e disabilità”. Lo scopo generale dell’ICF è quello di fornire un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione delle componenti della salute e degli stati ad essa correlati.
Secondo il paradigma bio-psico-sociale, che è alla base dell’ICF, “la persona disabile ha risorse e potenzialità che possono estrinsecarsi o rimanere latenti, a seconda dell’ambiente in cui vive”. In altre parole il contesto può fungere da barriera, ostacolando il manifestarsi di queste risorse possedute, oppure essere un facilitatore, che incoraggia l’espressione di queste potenzialità. In ragione di ciò la disabilità è intesa come “uno stato di salute in un ambiente non favorevole”(OMS, 2002). È finalmente nato un linguaggio internazionale, che va oltre le solite Terminologie dell’ipocrisia, facendosi portavoce di nuove e più concrete istanze d’inclusione e di valorizzazione della disabilità come diversità. I soggetti disabili, alla luce delle nuove normative, sono divenuti portatori di diritti, piuttosto che oggetti di assistenza di stampo pietistico. Ma per arrivare a questa nuova percezione è stato percorso un lungo, tortuoso cammino, fatto di sofferenza e mortificazione.
La selezione della razza in età classica
“Soffochiamo i nati mostruosi, anche se fossero nostri figli. Se sono venuti al mondo deformi o minorati dovremo annegarli. Ma non per cattiveria. Ma perché è ragionevole separare esseri umani sani da quelli inutili…” (Lucio Anneo Seneca, De Ira, libro I). Una cruda realtà che parte da lontano, la disabilità come vergogna, come peccato originale da estirpare; un’anormalità che non può essere tollerata. Siamo partiti dall’Epoca Classica, ma invece di citare Sparta, città in cui esisteva la selezione innaturale della specie, siamo partiti da Seneca. Proprio da un filosofo che nell’amore della sapienza, professava orgogliosamente una scientifica selezione della razza, il tutto a Roma culla e patria del diritto.
Il Cristianesimo e i disabili – Figli di un Dio minore
Con la diffusione del Cristianesimo e con il cambio di mentalità di cui la nuova religione è latrice, si fa strada il concetto di tolleranza, ma la disabilità è percepita sempre come malattia. L’approccio dei Cristiani è patetico, caratterizzato da pietà e protezione nei confronti dei disabili, basato sul presupposto che si è tutti figli di Dio. Ma forse alcuni sono “Figli di un Dio minore”. Un grosso passo indietro viene fatto dopo l’elezione di Papa Gregorio I (meglio conosciuto come San Gregorio Magno), secondo il quale “Una anima sana non trova albergo in un corpo tumefatto”. Con questo atteggiamento ci si inoltra nel Medioevo, epoca caratterizza dalla forza, dalla lotta per la sopravvivenza, almeno per quanto riguarda l’Alto Medioevo. Ma ciò che più d’ogni altra cosa colpisce è che sia il Papa, nella sua infallibilità dogmatica, a sancire l’infamia della disabilità.
Il Rinascimento e la canzonatura del diverso
” Le magnifiche sorti e progressive” della disabiltà non vanno incontro a miglioramenti neanche nell’età cosiddetta Moderna. Se nel Rinascimento si fa strada l’idea dell’antropocentrismo e dell’homo mensura, la disabilità, la menomazione e la diversità sono percepite ancor più sminuite che nelle epoche passate. Le deformazioni diventano motivo di divertimento e canzonatura e in questo senso grande attenzione (negativa ovviamente) viene rivolta alle persone affette da nanismo. I nani (oggi persone di bassa statura) sono dei buffi soggetti accolti e ospitati nelle corti, esclusivamente per assumere il ruolo di buffoni o giullari.
Le scoperte geografiche e la disabilità di razza
E persino la prima globalizzazione, all’epoca delle Scoperte geografiche, porta all’attenzione del pensiero scientifico una nuova forma di disabilità, stavolta su base etnica. Gli altri continenti sono abitati da esseri simili agli umani ma inferiori. Essi sono diversi per colore, usanze, religione e per tanti altri motivi che ne fanno degli scherzi di natura. E neanche la Chiesa viene in soccorso degli inferiori, se non nel 1839, quando ha riconosciuto “gli Africani come esseri umani al pari di tutti gli altri”. Lo sancì una Bolla di Gregorio XVI, in verità piuttosto tardiva: i commerci di schiavi infatti erano stati già aboliti da quasi tutti gli Stati tra 1807 e 1818 e gli Inglesi ne avevano preso le distanze dalla fine del Settecento. Lungi dal voler fare una critica dell’Oppio dei popoli, la situazione non migliora allargando lo sguardo alla cultura laica. Il paradosso vuole infatti che i peggiori razzisti della storia siano stati proprio i rappresentanti del più convinto laicismo, solitamente celebrati dagli storici allineati e ortodossi, come i campioni della libertà e della tolleranza. La frecciata è ovviamente rivolta ai cosiddetti pionieri della democrazia moderna: mi riferisco agli Illuministi francesi e ai rivoluzionari Statunitensi.
Una egalitè limitata
“Scimmie, elefanti e negri. Tra tutti questi esseri, quello ragionevole è l’elefante”, scriveva Voltaire. Nel Trattato sulla metafisica (1734) e nel Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756), Voltaire afferma: “checché ne dica un uomo vestito di lungo e nero abito talare, i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo stesso uomo”. Prosegue situando i negri sul gradino più basso della scala, definendoli animali, dando credito all’idea mitica dei matrimoni tra le negre e le scimmie, e considerando i bianchi “superiori a questi negri, come i negri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche“. Maurizio Ghiretti nella sua Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, ricorda anche che Voltaire è azionista di una compagnia che commercia schiavi neri, e forse proprio in uno di questi traffici si trova beffato due volte da bianchi-usurai ebrei.
Nascono gli USA – una democrazia imperfetta
E che dire dei padri della prima domocrazia moderna. George Washington, Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, massoni, razzisti e schiavisti; in questo caso si potrà liquidare l’argomento con due date: 1863 e 1964. Fu Abraham Lincoln che pose fine alla schiavitù, con il Proclama di emancipazione (1863), che liberò gli schiavi negli Stati della Confederazione. Seguì poi la ratifica del XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, con il quale nel 1865 la schiavitù venne abolita in tutti gli Stati Uniti. Per la cronaca Lincoln pagò con la vita tale audacia egualitaristica. Il regime di segregazione razziale è stato finalmente abrogato dal Civil Rights Act nel 1964, firmato da Lindon Johnson. Va detto che il provvedimento fu fortemente voluto da John Fitdzgerald Kennedy; ucciso nel 1963, anche lui pagò con la vita il suo slancio di inclusività.
Positivismo, evoluzionismo e discriminazione
Disabilità dunque intesa nel senso più ampio del termine, abbracciando le categorie scientifiche, filosofiche, sociali e persino culturali. Il lungo cammino del supplizio è infatti tragicamente proseguito per tutto il XIX secolo e per buona parte del XX. Basterà citare le teorie evoluzionistiche di Jean-Baptiste Lamarck e di Charles Darwin, per comprendere la percezione della disabilità nella società positivista. In quest’ottica appare naturale che il disabile fosse considerato l’anello debole della catena evoluzionistica e dunque destinato a soccombere nella selezione naturale.
I Totalitarismi e l’olocausto dei disabili
Il culmine della vergogna, manco a dirlo, viene raggiunto nella prima metà del Novecento tra Totalitarismi, razza pura e i primi esperimenti genetici. In quel periodo la persecuzione della disabilità è sistematica, scientifica e addirittura di Stato. La disabilità diventa una vergogna da celare, una colpa da punire, una gramigna da estirpare, una mela marcia che potrebbe rovinare l’albero. La disabilità fisica è percepita come menomazione, quella mentale addirittura come subumanità. Occorreranno ben due guerre mondiali per condurre una parte dell’umanità verso un ragionevole cambio di mentalità.
Il XXI secolo e il cammino della redenzione
Per quasi tutto il XX secolo la disabilità resta una vergogna da celare in famiglia, per evitare che sia scoperta da amici e vicini. In altre parole l’esistenza del disabile è tollerata, purché non arrechi danno al buon nome e alla buona reputazione. Non è un caso se anche l’Italia, paese attento alle esigenze degli ultimi, non aveva politiche di sviluppo per i disabili, ma soltanto di mantenimento. Nonostante una legislazione all’avanguardia sia presente in Italia già dagli anni Settanta, lo slancio propositivo si è visto frenato da una mentalità ancora immatura. E ancora oggi sono tanti i pregiudizi duri a morire; un cammino ancora lungo e in salita che però sta lentamente facendo breccia nelle coscienze. Fondamentale sostituire la vecchia visione pauperistica con una visione più larga e possibilista della disabilità, intesa come diversità e quindi arricchimento socio-culturale.
Francesco Martini