Il forte legame che nel nostro Paese caratterizza la relazione emarginazione-immigrazione sta portando sempre più alla convinzione che, risolti i problemi degli immigrati, si eliminerebbero anche emarginazione e povertà.
In realtà la disuguaglianza sociale, e i conseguenti problemi di emarginazione sociale, non solo esistevano anche prima che l’Italia diventasse un paese di immigrazione, ma caratterizzano tutte le società, comprese quelle dove è diffusa una condizione di benessere.
La relazione dalla quale siamo partiti risulta, quindi, inversa: è l’operare delle strutture sociali nella direzione della disuguaglianza che coinvolge anche il gruppo degli immigrati, determinandone così l’attuale e persistente condizione di emarginazione. L’immigrato è, dunque, emarginato soprattutto perché è povero e perché è chiamato a riempire gli strati inferiori di una società che è riuscita a dare alla maggior parte dei suoi membri una condizione di benessere, senza tuttavia risolvere situazioni interne di emarginazione e povertà.
Portando in primo piano il problema della disuguaglianza rispetto a quello dell’immigrazione si riesce così a sorvolare sulla permanenza di miserabili condizioni di vita fra i cittadini. Si trasforma, cioè, un problema di organizzazione sociale in una questione che riguarda un numero nettamente inferiore di persone. La disuguaglianza, in altre parole, viene presentata come un problema che non ci riguarda direttamente, così come l’emarginazione viene considerata una questione che riguarda un certo numero di individui e non un problema sociale. Tutto questo, forse, per evitare di accettare che la loro “inferiorità” è, dopotutto, anche la nostra.
Daniela Siano