Il matrimonio è una delle forme prevalenti di creazioni di vincoli parentali. Esiste una grande varietà di usanze matrimoniali,
tale da rendere impossibile l’individuazione di un modello naturale universale di matrimonio. Anche il costume prevalente nel mondo occidentale moderno, secondo cui ci si sposa per amore con un coniuge liberamente scelto, che per noi costituisce la forma “normale” e “giusta” di intendere l’unione coniugale, in realtà è di origine piuttosto recente perché si è affermato nel Novecento.
La scelta matrimoniale non era libera ma pesantemente orientata, se non combinata, dalle famiglie dei futuri sposi. Gli antropologi sanno che questo modello (il matrimonio romantico) è soltanto uno dei possibili modi di concepire l’unione tra uomo e donna. Nella maggior parte della società il matrimonio ha poco a che fare con l’amore: esso è perlopiù un mezzo per sancire un’alleanza tra gruppi sociali, ovvero uno strumento per mantenere l’equilibrio economico e politico della società. Il matrimonio combinato è molto diffuso in India, Pakistan e Marocco. In India il triste fenomeno degli sposi bambini, uniti in matrimonio dalle famiglie in tenera età nonostante la legge indiana stabilisca che l’età matrimoniale è 18 anni per le donne e 21 per gli uomini, è un grave problema sociale.
In numerose società vi è una preferenza, sancita da norme tradizionali non scritte, per il matrimonio all’interno della parentela. Presso molte società di arabi musulmani il matrimonio di un uomo con la cugina parallela è considerato l’unione ideale. L’antropologo italiano Ugo Fabietti fornisce una spiegazione sia dell’utilità sociale sia dell’origine storica di questa preferenza matrimoniale. Per quanto riguarda l’utilità, sposarsi con una donna appartenente al proprio gruppo parentale eliminerebbe i conflitti che possono nascere quando la sposa proviene da un altro gruppo, di cui continua a far parte anche dopo le nozze. Fabietti sottolinea che dal punto di vista della condizione sociale della donna araba il matrimonio preferenziale produce un incremento di controllo e potere maschile; il cugino, dopo le nozze, è anche marito, per cui la sua autorità raddoppia. L’origine storica di questa preferenza matrimoniale risiede probabilmente nel tradizionale nomadismo dei beduini arabi.
Le ricerche etnologiche hanno documentato parecchie usanze matrimoniali, comprendendo nel loro catalogo situazioni anche molto lontane da quelle a cui non siamo abituati. Tra i casi più originali possiamo ricordare l’ ”unione tra donne”, il “matrimonio con il fantasma” e la “poliandria”. L’unione tra donne è stata osservata presso i Nuer, popolazione di pastori del Sud Sudan, dove una donna sterile, se possiede molti capi di bestiame, può sposare una giovane donna ed essere considerata il padre sociale dei figli che lei avrà da altri uomini. In questo esempio non troviamo niente che assomiglia al nostro concetto di matrimonio: infatti tra le due donne non c’è convivenza, non c’è esercizio della sessualità, né comune allevamento dei figli.
Anche il matrimonio con un defunto, o matrimonio con il fantasma, è un’usanza dei Nuer: si verifica quando una donna sposa un uomo morto senza figli. Le funzioni di marito le svolge in realtà un uomo vivo e vegeto, che però è soltanto il padre biologico dei figli concepiti con la donna, perché il padre legale è il defunto, la cui famiglia ha fatto un dono alla famiglia della sposa di un insieme di beni, detti “ricchezza della sposa”, costituiti da capi di bestiame.
La poliandria, o unione sessuale di una donna con più uomini, è invece un costume matrimoniale di cui si conoscono pochi esempi: è documentata presso i Toda dell’India, nelle Isole Marchesi della Polinesia e nel Tibet (in quest’ultimo caso è nota come poliandria adelfica, perché i vari mariti tra loro sono fratelli, e soltanto uno sarà considerato il padre sociale dei figli. In tal modo i fratelli restano uniti nella stessa famiglia e ciò serva a non frazionare la proprietà terriere in unità troppo piccole).
Gaetano Sorbo