Il Dittatore è un film del 2012 diretto da Larry Charles, con protagonista l’istrionico Sacha Baron Cohen.
Racconta l’eroicomica storia del Supremo Leader Ammiraglio Generale Hafez Aladeen, dittatore dello stato immaginario di Wadiya (che sulla carta geografica corrisponde all’Eritrea) che rischia la vita pur di assicurarsi che la democrazia non attecchisca nel suo paese che ha così amorevolmente oppresso.
Il film rappresenta senza troppi veli la versione comica del libro Zabibah e il Re scritto da Saddam Hussein ed è ironicamente dedicato alla memoria di Kim Jong-il.
Aladeen non ha mai voluto concedere i diritti di estrazione del proprio petrolio a multinazionali estere; dopo aver rifiutato l’ingresso degli ispettori delle Nazioni Unite, atto a verificare l’assenza di armamenti nucleari, viene convocato all’assemblea generale dell’ONU a New York. Subito dopo il suo arrivo in albergo però viene rapito da Clayton, un sicario assunto da Tamir, Primo Ministro e zio di Aladeen.
Tamir lo rimpiazza con un sosia mentalmente ritardato di nome Efawadh, per fargli firmare un documento costituzionale che trasformerà Wadiya in una democrazia, ma in realtà soltanto per aprire il paese alle multinazionali e garantirsi una ricca percentuale sull’esportazione del petrolio e di altre materie prime.
Aladeen riesce a scappare dal sicario che gli aveva tagliato completamente la barba allo scopo di renderlo irriconoscibile una volta appiccato l’incendio (incendio che in realtà ucciderà lo stesso Clayton). Trovandosi in mezzo alla strada tra i dimostranti contro la dittatura di Wadiya, Aladeen conosce l’attivista Zoey, che gli offre un lavoro credendolo un rifugiato politico. Aladeen tuttavia rifiuta il suo invito e continua a vagare per la città fino ad entrare in un bar di Little Wadiya dove incontra Nuclear Nadal, lo scienziato a capo del programma nucleare di Wadiya, espatriato in segreto dopo che Aladeen aveva dato ordine di giustiziarlo.
Nadal si offre di aiutare Aladeen a patto che questo lo rimetta a capo del programma nucleare nazionale e i due escogitano un piano per sostituire il sosia. I due si accorgono presto che è impossibile avvicinarsi all’hotel dove alloggiano i membri del consiglio, quindi scoperto che Zoey ha un pass come fornitrice ufficiale degli alimenti per il personale di Wadiya, accetta il lavoro al suo negozio finché, innamorandosi di lei, le confida la sua vera identità, causando la successiva rottura della loro relazione.
Aladeen e Nadal escogitano un rocambolesco piano per introdursi nell’albergo, lanciando un rampino da un palazzo di fronte e calandosi nella stanza dove alloggia il sosia impostore.
Aladeen riesce a riprendere il suo posto presentandosi davanti alla commissione delle Nazioni Unite con in mano il nuovo Statuto di Wadiya pronto per essere firmato. Nello stupore generale però Aladeen strappa il foglio davanti alla commissione cominciando ad elogiare la dittatura finché in sala non arriva Zoey. Aladeen si ricrede, promettendo elezioni democratiche per scegliere il nuovo presidente di Wadiya e facendo arrestare lo zio Tamir per tradimento. Tamir nel frattempo estrae una pistola puntandola verso Aladeen ed esplode un colpo che andrà a colpire in testa il sosia gettatosi a protezione del dittatore. Efawadh non morirà perché, come dice Aladeen, la sua testa è vuota.
Le elezioni che si svolgeranno saranno farsescamente truccate e Aladeen tornerà al potere con quasi la totalità dei voti. Un anno dopo Aladeen sposa Zoey scoprendo subito dopo il matrimonio che questa è ebrea. In un’intervista conclusiva Zoey annuncia di essere incinta, notizia a cui Aladeen risponde dicendo: «E avrai un maschio o un aborto?».
Aladeen è un personaggio meravigliosamente comico e tragicamente vero in quanto riesce a impersonare, in modo neanche troppo grottesco, il prototipo del sovrano di un qualsiasi stato del Vicino-Oriente: ricco oltre ogni immaginazione, capriccioso come il giovin signore di Parini, sprezzante dei più elementari diritti umani, orgogliosamente antisemita, circondato da un affollato harem di donne rigorosamente belle e occidentali, con una guardia personale composta da donne altrettanto belle; insomma riesce a unire insieme Saddam Hussein e Mu’ammar Gheddafi con Emiri, Sultani e Maharaja (regnanti e non) dall’Atlante all’Indo fino a Pyongyang, in un meltin pot fantasticamente decadente… le cose buone di pessimo gusto.
Un Dittatore con la D maiuscola insomma, un pericoloso Tiranno da eliminare per il bene del popolo, ma soprattutto perché le potenze Democratiche (ma forse anche Plutocratiche…) vedono in lui un ostacolo insormontabile che impedisce alle grandi lobby (davvero non vi viene in mente nessun avvenimento della storia recente?) di mettere le mani sulle riserve di petrolio e gas (nazionalizzate come in qualsiasi paese produttore non democratico come il Venezuela… e la Norvegia).
La trama è ricca e varia e porta lo spettatore a gustare una infinita serie di gag divertenti, ironiche e tragicamente piene di verità, basti pensare al conto alla rovescia sull’elicottero, scambiato per attentato terroristico perché fatto da due uomini di etnia vicino-orientale.
E che dire della turba pecorina di manifestanti, quando a un certo punto intonano a mo’ di slogan la frase non è il legittimo Leader, pronunciata dallo stesso Aladeen e ovviamente riferita al sosia impostore che lo stava sostituendo; una fotografia tragicamente vera dell’ignoranza delle masse a della facile influenza cui possono essere sottoposte.
Il film si conclude con uno straordinario panegirico della dittatura che sottende una denuncia, non solo contro l’estremismo, ma anche e soprattutto nei confronti del sistema occidentale e statunitense, molto più vicino alla fantasia di George Orwell che agli intenti di George Washington.
A quale pubblico Cohen ha destinato la sua fatica? Quello grosso non l’avrebbe capita: la plebe e la piccola borghesia non hanno abbastanza finezza per ridere di se medesime; le “persone colte”, che in ogni tempo e in ogni luogo sono, in fondo, piccola borghesia, si sarebbero offese della sfida lanciata alle convenzioni sociali e culturali. Il film insomma è desinato a un pubblico fine e fresco, sollecito di forma interna più che esterna. Dinanzi a loro poteva liberamente scapricciare la sua vena di umorista, con la certezza di essere gustato e applaudito.
Francesco Martini