Le festività religiose sono sempre accompagnate da aspetti popolari e folkloristici, che connotano luoghi e tradizioni.
Il Natale è una festività cristiana che celebra la nascita di Gesù, ma nel corso dei secoli, non solo ha mantenuto aspetti riconducibili a pratiche pagane e popolari, ma come ogni evento che si rispetti, è accompagnato da una millenaria tradizione gastronomica. In questo sono maestri, e lo sono da sempre, gli ordini monastici (sperimentatori di pietanze sempre nuove ed originali, veri virtuosi dei fornelli) e gli italiani in generale. Molte delle pietanze natalizie hanno storie lunghe, prestigiose, addirittura nobili, come il panettone milanese, noto ai golosi fin dall’epoca di Ludovico il Moro e il pandoro veronese, che rappresenta una variante del primo.
Differenti sono le origini dei dolci campani, come gli struffoli, secondo alcuni studiosi introdotti dai Greci, secondo i puristi, riconducibili alla gastronomia ebraica veterotestamentaria. Sulle tavole campane inoltre, fanno bella mostra di sé, zeppole, mostaccioli e roccocò, questi ultimi cucinati per la prima volta nel 1320 dalle monache del Real Convento della Maddalene di Napoli.
E non si tratta di casi isolati, perché la capillare presenza di conventi su tutto il territorio italico ha favorito la diffusione dei piatti tipici (oltre che delle idee e della cultura dei chierici), è il caso del certosino, oggi diffuso soprattutto in Piemonte ed in Emilia Romagna, ma già noto in età rinascimentale alla corte papale per opera dei frati di San Brunone. I menù regionali sono ancora molto ricchi di specialità, basti pensare alle paste di mandorle siciliane, al pangiallo del Lazio ed al buchteln altoatesino, un pane dolce cotto al forno, ripieno di marmellata, cosparso di zucchero e salsa alla vaniglia. Al di là delle differenze politiche, culturali e dialettali che dividono le regioni d’ Italia, la festa religiosa e la gastronomia, fungono ancora oggi da dolce collante.
Francesco Martini