Un’enorme dimora in pietra in cima a una scogliera: è questo lo scenario de “La casa del sonno” (“The House of sleep”), di Jonathan Coe.
Protagonista indiscusso di questa trama insolita, a tratti psicotica, è il sonno. Il libro è diviso in sei parti, ognuna delle quali rappresenta un diverso stato di coscienza: veglia, fase uno, fase due, fase tre, fase quattro, sonno REM. “Enorme, grigia e imponente, Ashdown sorgeva su un promontorio, a una ventina di metri dalla viva parete della scogliera, ed era lì da più di un secolo. Per tutto il giorno i gabbiani ruotavano intorno alle sue guglie e torricelle con strida rauche e luttuose”. Questa casa sulla costa inglese, negli anni Ottanta alloggio per studenti universitari, nell’estate del 1996 diventa una clinica per la cura dei disturbi del sonno. Proprio qui sono vissuti tempo addietro i protagonisti del romanzo che, attraverso un susseguirsi di flash-back, l’autore ripropone, con le loro difficoltà personali e di relazione. Sarah, Terry, Gregory: specchi dei mille diversi volti del sonno. Robert, Veronica, Ruby: riflessi dolorosi e distorti di queste immagini sofferenti e pulsanti di vita. In questa chiave la narcolessia, il sonniloquio, il desiderio insaziabile di dormire il più possibile per non distaccarsi dai propri sogni costretti a svanire al cospetto della realtà, la perversa mania di spiare e violare il sonno altrui ed infine l’ossessione di non perdere un solo minuto di vita dormendo, atteggiamenti, questi ultimi, presentatici attraverso i vari protagonisti del libro.
Coe traccia così un affresco degli anni Ottanta e della loro influenza sulla cultura, in particolare quella inglese. Autore della cosiddetta “generazione Blair”, lo scrittore si inserisce in un nuovo filone letterario di stampo anglosassone, legato ai problemi delle ultime generazioni, alle aspettative per il futuro, alla fuga dalla realtà, anche attraverso il sogno. Non sono mancate interpretazioni secondo le quali l’autore avesse voluto attribuire al sonno valore di metafora anche sul piano politico con implicito riferimento “all’Inghilterra degli anni novanta che, dopo aver attraversato il periodo thatcheriano, si ritrova in quello spazio indeterminato che separa il sonno dalla veglia, ancora incerta se svegliarsi o continuare a dormire”. In quest’ottica, pertanto, Ashdown appare il ritratto della recente storia inglese: all’inizio del libro gotica struttura fatiscente a picco sul mare, trasfigurazione della situazione politica degli anni Settanta, poi rimessa a nuovo, almeno superficialmente e dotata di un’apparente immagine di efficienza, ma gestita da un tiranno, dichiarato ammiratore della Margaret signora di ferro, che concepisce la necessità di dormire come la più diffusa malattia che affligge l’umanità.
Daniela Siano