La genitorialità non è una condizione necessariamente collegata all’evento nascita, ma è connessa, secondo Ammaniti,
a un lungo processo di elaborazione delle proprie relazioni affettive primarie: l’arrivo di un figlio rappresenta un evento critico prevedibile che genera un cambiamento significativo nel ciclo vitale di una famiglia coinvolgendo la coppia coniugale verso la ridefinizione delle relazioni interpersonali e la riorganizzazione del sistema. I coniugi diventano genitori, modificando così i loro stili relazionali in funzione dell’arrivo di un figlio.
Tale cambiamento, se non supportato dall’attivazione di risorse efficienti può determinare un crollo psicologico e difficoltà relazionali nella coppia e nel rapporto genitore-figli.
Secondo Ammaniti: “Per entrambi i genitori la nascita di un figlio rappresenta un evento nuovo e intenso che evoca fantasie consce e inconsce riguardanti la propria relazione infantile sperimentata con la madre, il padre e le altre figure di accudimento significative”.
Principio fondamentale della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, contenuto nel suo preambolo, definisce la famiglia un ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare dei bambini, riconoscendo importanza primaria alla protezione e all’assistenza dei bambini al fine di garantirne la sicurezza fisica ed emotiva.
La famiglia, dunque, intesa come il sistema vivente di riferimento principale nell’esperienza emotiva di una persona, è, dunque, il primo contesto esperienziale in cui il bambino comincia a relazionarsi con i suoi simili e con le figure genitoriali, ma anche all’interno del quale i sintomi, le malattie, i problemi assumono una funzione precisa per il funzionamento relazionale del gruppo di persone che ne fanno parte. I conflitti che nascono tra i membri della famiglia tendono a disgregare il sistema-famiglia durante il suo ciclo vitale rendendolo disfunzionale e creando una tensione emotiva che di solito viene vissuta in termini drammatici in quanto causa nei membri della famiglia difficoltà di relazione, e in alcuni casi forti disagi relazionali anche al di fuori del sistema famiglia.
Salvador Minuchin definisce la famiglia come un sistema caratterizzato da una struttura ben definita, come “l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono”. Per essere funzionale, un sistema deve essere sufficientemente flessibile e adattarsi ad eventuali richieste evolutive o ambientali, oltre ad avere una struttura sana sulla base di due aspetti fondamentali:
- la gerarchia: intesa come struttura del potere, come espletamento delle competenze genitoriali;
- i confini: l’insieme di regole che definiscono il passaggio di informazione. Sono importanti soprattutto per il loro scopo protettivo nei confronti dei bambini, che non dovrebbero avere accesso a contenuti e informazioni violente, o a problemi relazionali o economici degli adulti. In questo caso i confini diventano disfunzionali di due tipi: i confini diffusi, che lasciano passare troppe informazioni, e i problemi di un membro della famiglia diventano i problemi di tutti (creando la famiglia “invischiata”); e i confini rigidi che non permettono la comunicazione, tanto che all’interno di questi confini non ci si sente visti, accolti e ascoltati (generano la famiglia “disimpegnata”).
I contesti familiari caratterizzati da elevati livelli di conflittualità, che spesso degenerano in vera e propria violenza, vedono coinvolti i figli minorenni in una rete di disagi relazionali che spesso sfociano in atti di violenza e maltrattamenti sia psicologici che fisici, anche ai danni di uno dei genitori, con gravi conseguenze per un equilibrato sviluppo psico fisico del minore .
La famiglia rappresenta il contesto all’interno del quale i fattori protettivi e i fattori di rischio interagiscono tra loro influenzando lo sviluppo successivo del bambino.
La funzione genitoriale si esplica nelle sue componenti fondamentali di cura e protezione dei figli e le situazioni a rischio nell’ambito della genitorialità fanno riferimento proprio a tutte quelle condizioni in cui la predetta funzione è fortemente disturbata, influendo profondamente sulla qualità della relazione genitore-bambino. Solo una famiglia funzionale può garantire e salvaguardare realmente il superiore interesse del minore, una famiglia in cui i canali comunicativi sono aperti alla comprensione delle esigenze dei membri della famiglia ed alla condivisione dei bisogni di cura e delle scelte educative operate sempre in funzione di una crescita relazionale sana del bambino.
Secondo la prospettiva evoluzionistica di Bowlby, il bambino ha diritto a relazionarsi con valide figure di riferimento, ha bisogno di cure continuative e costanti, in quanto bisogno innato determinato dalla natura umana. Figura di riferimento principale per un bambino è la madre, soprattutto durante il primo anno di vita. Secondo la teoria dell’attaccamento una madre sensibile e responsiva, che riconosce i segnali e risponde con prontezza alle esigenze del proprio figlio, crea una figura di attaccamento sicura. Il contesto di riferimento è, dunque, quello di una famiglia funzionale con una relazione di attaccamento sicuro ed un sano sviluppo psico fsico del bambino.
Nei casi di violenza nei legami intimi, in particolare di violenza assistita, si crea un attaccamento disorganizzato in quanto la madre, traumatizzata da un persistente stato mentale di paura e di ansia, si rapporta al proprio figlio con discontinuità, o in maniera del tutto assente, dando luogo alla costruzione di un modello mentale insicuro caratterizzato da un continuo stato di ansia.
Una genitorialità responsabile deve, dunque, garantire l’instaurarsi di una relazione funzionale all’interesse superiore del bambino ad uno sviluppo cognitivo ed affettivo equilibrato e sano.
La funzione genitoriale è, dunque, comprensiva di diritti e doveri. In posizione di assoluta simmetria. Ad un diritto del figlio corrisponde un dovere dei genitori, della famiglia, dello stato o di terzi, col solo limite del rispetto della tutela del superiore interesse del bambino, interesse che presenta aspetti attivi del diritto del bambino ad affermare la propria personalità, ma anche passivi di obbedienza rispetto a determinate condotte.
Principio caratteristico del nuovo istituto è, secondo la dottrina prevalente, quello della “compresenza dei due elementi del potere e del dovere nella configurazione della responsabilità genitoriale, con prevalenza del primo dal punto di vista terminologico e concettuale. Il genitore ha il dovere di esercitare i poteri previsti dalla legge per consentire al minore lo sviluppo della sua personalità e l’esercizio dei suoi diritti (art. 315-bis c.c.)”.
La responsabilità genitoriale è, dunque, funzione dell’interesse del figlio, ed è arricchita da una serie di contenuti maggiormente coerenti con i principi di tutela costituzionale e internazionale.
La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989 prevede all’articolo 12 che gli stati parte garantiscano al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa. Gli stessi diritti proclamati nella Convenzione rappresentano un limite alla potestà dei genitori, incoraggiando i genitori stessi alla comunicazione col proprio figlio nell’ottica di un confronto costruttivo e riconoscendo al bambino una “autodeterminazione in senso debole”, come definita da Gian Cristoforo Turri, in merito all’esercizio di diritti personalissimi, alle scelte religiose, alla sessualità e all’affettività, alla libertà di opinione, di pensiero e di espressione, alla salute e alla riservatezza.
In particolare ai doveri di mantenere, istruire ed educare i figli nel rispetto delle loro inclinazioni, vengono aggiunti anche i doveri di cura e di ascolto del bambino, in quanto, come sottolineato dalla dottrina (Bianca M.), soggetto giuridico inserito in un contesto familiare fondato sulla continua relazione tra i membri del sistema famiglia.
Il vecchio istituto della potestà si trasforma in responsabilità genitoriale, intesa quale diritto-dovere di partecipazione dei genitori alle decisioni, che riguardano i figli, affinché risultino funzionali all’età e alla loro capacità di discernimento, nonché rivolte alla identificazione e alla realizzazione di fatto dell’interesse di vita dei figli.
Di grande importanza un ulteriore contenuto della genitorialità, dal quale non si può prescindere è il dovere di tenere conto “ delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni”, dovere che in occasione della riforma del diritto di famiglia del 1975 e su suggerimento di Carlo Alfredo Moro è stato aggiunto nel testo dell’articolo 147 del codice civile.
Il predetto dovere rappresenta un parametro nella valutazione della capacità del genitore, in quanto non esiste più una potestà esercitata sulla base di arbitrarie valutazioni dei genitori. Nella relazione genitore-figli il buon genitore deve ascoltare e comprendere i bisogni dei figli, per coglierne le inclinazioni e le aspirazioni, riconoscendo, così, i figli come altro da sé, rispettandone la diversità e acconsentendo al distacco verso l’autonomia.
Carmen Dello Iacono