Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la violenza domestica è un fenomeno molto diffuso
che riguarda ogni forma di abuso psicologico, fisico, sessuale, nonché le varie forme di comportamenti coercitivi esercitati per controllare emotivamente una persona che fa parte del nucleo familiare (figli e coniuge). Si tratta di un tipo di violenza che coinvolge la diade coniugale in quanto agita all’interno di una relazione intima. È importante fare una distinzione preliminare alle considerazioni che seguono, tra rapporto conflittuale e rapporto violento. Entrambe le relazioni interessano due partner, sposati o conviventi non ha importanza. Ciò che va sottolineato è il fatto che in una relazione conflittuale i partner mantengono l’uno rispetto all’altro posizioni relazionali simmetriche, seppure in un contesto disfunzionale.
In una relazione caratterizzata da violenza di un partner nei confronti dell’altro, quest’ultimo è in una posizione di inferiorità sia fisica che psicologica, di sottomissione alla volontà del partner violento e non vi è alcuna possibilità di comunicazione né di compromesso.
Le violenze tra i partner fanno aumentare anche il rischio di violenza diretta sui figli perché esiste una forte correlazione tra la violenza sulle donne e quella sui bambini.
Questo tipo di violenza, ancor più perché agita da un familiare (coniuge o partener o ex partener) può mettere gravemente a rischio la salute psichica e fisica e la vita sia delle madri che dei bambini, in quanto vengono traditi i sentimenti di fiducia e di affidamento dei figli nei confronti dei genitori.
Non c’è nulla di più traumatico per un bambino di perdere le sue figure di riferimento e di accudimento: coloro che dovrebbero proteggerlo, amarlo e difenderlo, invece lo maltrattano, attraverso incuria, comportamenti svalutanti, aggressivi, violenti sia verbalmente che fisicamente, creando un ambiente ostile, di paura, ansie, sensi colpa, piuttosto che un contesto sereno all’interno del quale poter crescere in una relazione armonica e serena con tutti i membri della famiglia.
Il danno più grave della violenza domestica è alle relazioni di attaccamento.
Viene a mancare una figura di attaccamento sicura, in quanto la violenza danneggia la capacità genitoriale delle figure principali di accudimento, e il bambino in un contesto familiare violento diventa in qualche modo “invisibile” sprofondando in una immensa solitudine connotata da ansie, paure e sensi di colpa.
Un genitore responsabile dovrebbe essere in grado di rispondere ai bisogni fondamentali dei bambini, riconosciuti come entità a se stante, legati alle dinamiche di attaccamento e separazione e collegati al bisogno di appartenere e di essere nello stesso tempo. Tutto questo perché possa – come afferma C.A. Moro – costruire una personalità capace di libertà e creatività, cosciente del proprio valore come essere umano e nello stesso tempo della significatività dei rapporti con gli altri per un reciproco arricchimento interiore.
Nel contesto della violenza domestica si inserisce la violenza assistita, che dal punto di vista giuridico non è considerata di per sé un illecito penale e quindi non esiste una tutela normativa specifica.
Il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (C.I.S.M.A.I.) definisce così la violenza assistita intrafamiliare:“ per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici”.
Violenza assistita significa per un bambino vivere in un clima maltrattante.
Lo Studio delle nazioni Unite sulla Violenza sui Bambini rappresenta una fonte importante per l’inquadramento della violenza assistita come forma della violenza sui minori, evidenziando che ogni anno un numero di minori compreso tra 133 e 275 milioni assiste a episodi di violenza domestica.
Il predetto Studio ha riscontrato che l’esposizione ripetuta, anche se indiretta, dei bambini alle violenze che avvengono all’interno delle loro case può danneggiare gravemente il loro benessere, lo sviluppo individuale e la capacità di interagire socialmente durante l’infanzia e la maturità.
Solo l’osservazione costante e approfondita degli stili relazionali e affettivi delle donne vittime di violenza domestica accolte e assistite nei centri antiviolenza, e dei disturbi che emergono nei loro figli, ha conferito maggiore consapevolezza dei danni provocati su bambini e adolescenti da questo tipo di violenza.
La violenza, nella gran parte dei casi, non è il frutto di errori educativi, inadempienze, momentanee difficoltà dei genitori, ma di vere e proprie modalità relazionali, deformate, patologiche e distruttive, rapporti familiari fortemente destabilizzati, disfunzionali, in cui il rifiuto, la denigrazione, la trascuratezza e il coinvolgimento sessuale dei bambini si accompagnano a confusione dei rapporti, rottura delle barriere generazionali, fragilità e assenza di norme.
La gravità delle conseguenze psicologiche sono necessariamente connesse sia a fattori individuali, quali la minore età, la vulnerabilità del bambino, la gravità e la cronicità della violenza, sia a fattori familiari, come la qualità e le caratteristiche delle relazioni tra genitori e figli e, più in generale il funzionamento del nucleo stesso.
Primo obiettivo è, dunque, provvedere ad una adeguata protezione attraverso gli strumenti previsti dalla legislazione e le misure di tipo psicosociale, conciliando l’indispensabile protezione del bambino con il trattamento psicologico e di sostegno alla genitorialità, ripristinando e rafforzando in tal modo la responsabilità e le capacità genitoriali.
Manca, tuttavia, un metodo di rilevazione precoce e di monitoraggio delle predette situazioni, in quanto “rinchiuse” tra le mura domestiche, ma soprattutto mancano chiare previsioni normative, in particolare la previsione normativa di un reato specifico, tipizzato, che contenga tutti gli elementi costitutivi di queste tipologie di violenza ai danni dei minori per una piena tutela non solo sul piano civilistico, ma anche da un punto di vista penale.
Il C.I.S.M.A.I. (Coordinamento Italiano dei servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) ha di recente pubblicato un documento contenente i requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita, nel tentativo di enucleare i principali elementi di criticità cui porre attenzione nell’impostazione degli interventi a favore dei bambini vittime di tale forma di violenza, indicando i requisiti minimi dell’intervento relativamente alle fasi di rilevazione, protezione, valutazione e trattamento.
In particolare è indispensabile l’individuazione dei segnali di malessere dei minori e dei rischi per la loro crescita connessi alle condotte pregiudizievoli degli adulti, distinguendo tra situazioni meramente conflittuali, senza negare i danni che da queste possono derivare, e situazioni di vero e proprio maltrattamento, evitando di identificare come conflitto o litigi tra coniugi situazioni ove avvengono maltrattamenti anche gravi e reiterati ai danni della madre.
E’ importante, inoltre, individuare fattori protettivi individuali, familiari e sociali, nonchè le risorse che possono essere attivate ai fini della protezione, che attraverso azioni anche di vigilanza della situazione deve mirare all’interruzione della violenza a cui il bambino assiste.
Tali interventi possono essere realizzati attraverso i servizi e le istituzioni preposti, nel senso di interventi riparativi sia a livello individuale che, ove possibile, delle relazioni familiari, o attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria.
Quale tutela giuridica per i casi di violenza endofamiliare?
L’ordinamento interviene disciplinando i provvedimenti limitativi e di decadenza dalla responsabilità genitoriale (artt. 330, 333 cc), prevedendo accanto alle ipotesi di allontanamento del figlio dalla residenza familiare anche ipotesi di allontanamento da essa del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore. Si tratta di provvedimenti di natura cautelare e non sanzionatoria, che hanno lo stesso contenuto di quelli previsti dall’art. 282 bis c.p.p, e che si rendono necessari in caso di pericolo o di accertato pregiudizio del minore, quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale, ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente (artt. 342 bis e ter c.c.)
E’ chiaramente una disciplina mista di cui il legislatore si serve per garantire una maggiore tutela dei minori nei casi di maltrattamenti e abusi subiti all’interno della propria famiglia.
Ma come vive il bambino l’esecuzione dei predetti provvedimenti?
Gli ordini di protezione e i provvedimenti limitativi e di decadenza dalla responsabilità genitoriale sono disposti nel suo esclusivo interesse, per proteggerlo da comportamenti maltrattanti e pregiudizievoli per la sua incolumità. Spesso, però, il distacco del bambino dalla propria famiglia di origine, il suo inserimento in comunità può essere ancora più traumatico se non attuato con le dovute cautele. Oggetto di tutela del diritto è il mantenimento di rapporti significativi nella sfera relazionale del bambino, quindi il diritto all’amore nella sua famiglia.
L’interferenza dell’ordinamento nella sfera relazionale intima dei rapporti familiari è volta alla tutela proprio del legame genitore-figli, nell’ottica di un’azione di sostegno alla genitorialità e di recupero delle competenze genitoriali.
Nel 1996 Alfredo Carlo Moro così commentava la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del Fanciullo: “Il bambino reale è divenuto un bambino declamato: una mera risorsa per i mass media; per la pubblicità; per il mercato del lavoro; per la criminalità organizzata; per gli appetiti sessuali di certi adulti. C’è dunque bisogno di una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, una cultura dell’attenzione e del rispetto, una cultura della solidarietà e di un rapporto positivo tra le generazioni. Ogni adulto che viene a contatto con un bambino deve saper contribuire al suo difficile itinerario di crescita […] con disponibilità non invadente e con capacità di ascolto […]”.
Carmen Dello Iacono