L’autolesionismo si riferisce ad una serie di comportamenti che l’individuo mette in atto intenzionalmente per recare danni o lesioni al proprio corpo, in modo tale da provocare danni ai tessuti o agli organi.
Le persone affette da questo disturbo si fanno del male in diversi modi: tagliandosi con una lametta, bruciandosi con una sigaretta, graffiandosi, strappandosi i capelli, sbattendo contro qualcosa, ecc. L’autolesionismo può colpire tutti, sebbene tenda ad insorgere soprattutto in adolescenza e a toccare maggiormente le donne, forse a causa di fattori sociali. Tradizionalmente, agli uomini viene permesso di esprimere la propria aggressività, mentre alle donne viene insegnato a reprimerla o a rivolgerla verso se stesse. Le donne, spesso, oltre all’autolesionismo presentano disturbi del comportamento alimentare come anoressia e bulimia. Alcune ragazze di fronte ad un momento di malessere reagiscono alternando comportamenti bulimici (abbuffate seguite da vomito o abuso di lassativi) a quelli autolesivi. I comportamenti autolesivi sono spesso sottostimati poiché vengono messi in atto in condizione di segretezza e sono frequentemente accompagnati da sentimenti di vergogna. Coloro che si autoferiscono quasi sempre tendono a isolarsi e a nascondere le proprie ferite per la paura di essere giudicati “pazzi” o perché temono si creda che vogliano solo attirare l’attenzione. Molti autolesionisti tendono ad essere perfezionisti, incapaci di gestire e di manifestare verbalmente intense emozioni. Non si piacciono, odiano il proprio corpo e possono avere gravi sbalzi d’umore, non hanno fiducia in sé e neppure negli altri. È possibile, talvolta, che abbiano subito abusi sessuali o violenza psicologica nell’infanzia. Spesso queste persone ricorrono a tali comportamenti senza sapere neppure che cosa le abbia ridotte in un simile stato di malessere. É come se stessero guardando un film su qualcun altro, non sono loro. Si fanno del male come se fosse un rituale, senza nemmeno pensare a quel che fanno e lo rifanno fino a quando non si sentono calme e soddisfatte perché il sangue è reale, è umano, le fa sentire “vive”. Mentre si feriscono, la loro mente si concentra sul dolore fisico, lasciando perdere tutti gli altri pensieri e le emozioni a cui non sanno dare un nome. Tutti il disagio interiore che non si è in grado di gestire viene tramutato in sofferenza fisica, quindi più facilmente gestibile e più reale della sofferenza emozionale che è impalpabile. Per un po’ ci si occupa solo del dolore fisico, distogliendosi temporaneamente da quello interiore. Al tempo stesso, sentono dolore, ma credono di meritarselo.
Cosa nasconde questo disturbo
Tagliarsi non è un modo per cercare attenzione, accade, piuttosto, che queste persone si sentano invase dalle loro emozioni e recare danno al proprio corpo diventa l’unica modalità con cui credono di riuscire a gestire queste stesse emozioni, vissute come intollerabili. Provano tristezza, odio, disgusto, frustrazione, rabbia, rimorso, ma non riescono ad elaborarle. Chi utilizza l’autolesionismo sostiene che farsi del male li riporti in contatto con il loro corpo e con la mente, come se fosse un modo per sentire di “esistere”, per esprimere emozioni indicibili, tenendole però sotto controllo, “agendole”, scaricandole come impulsi sul proprio corpo.
L’autolesionismo, infine, è una richiesta d’aiuto. A livello inconscio, questi soggetti ricorrono a tali comportamenti per mostrare agli altri che si sta davvero soffrendo, offrendo loro qualcosa di concreto e di comunemente accettato come “dolore”. Così sentono di esistere agli occhi degli altri. Le cicatrici sulla pelle rendono visibile esteriormente la sofferenza che hanno dentro, è un modo per comunicare agli altri il loro dolore.
L’autolesionismo, dunque, non è un tentativo di uccidersi. Tuttavia, sebbene il tentativo di suicidio e l’autolesionismo siano due comportamenti differenti, chi ricorre all’autolesionismo può avere sintomi di depressione e idee suicidarie che vanno valutati con attenzione. Molto spesso i comportamenti auto-lesivi possono essere scatenati da litigi o minacce di separazione da figure affettivamente rilevanti. Ciò accade perché durante l’infanzia in queste persone il bisogno di rispecchiamento e contenimento, cioè di essere visto e sostenuto emotivamente, non è stato soddisfatto, per cui la successiva spinta verso la separazione dà luogo solo a un movimento verso la fusione con l’altro. Più l’individuo cerca di essere se stesso, più diventa simile al suo oggetto d’amore. Per tale ragione questi ragazzi oscillano fra il desiderio di indipendenza e il terrificante desiderio di una vicinanza estrema e di un’unione fantasticata. Dal punto di vista evolutivo, una crisi nasce quando la spinta proveniente dall’esterno verso la separazione diviene irresistibile, nella tarda adolescenza o nella prima età adulta. In quel periodo, il comportamento autodistruttivo e, nei casi estremi, suicidario è percepito come l’unica soluzione all’insolubile dilemma: la liberazione del Sé dagli altri attraverso la distruzione degli altri nel Sé.
Trattamento terapeutico
L’autolesionismo spesso comincia durante l’adolescenza e non è detto che la persona trovi da sola strategie più mature e sane per controllare emozioni e situazioni. L’aiuto di uno psicoterapeuta è spesso un primo passo per venirne fuori.
Dott.ssa Ilaria Corleto
Psicologa Psicoterapeuta Abilitata all’esercizio della Psicodiagnosi