Un microorganismo di nome Covid-19 sta rovesciando gli schemi, i ritmi e le regole della globalizzazione mondiale.
È partito dalla Cina seguendo le stesse vie della globalizzazione: commercio e turismo via aerea e poi tutte le altre strade di contatto fra gli abitanti della terra. In un anno e poco più il virus ha contagiato 153.094.318 di persone nel mondo dall’inizio della pandemia e più di 3.206.339 morti.
Con l’avvento del covid c’è bisogno del distanziamento fisico, cioè il contrario della globalizzazione. Nella versione più “estrema” della società chiusa non ci sarebbe contagio possibile: semplicemente perché gli individui vivrebbero in società piccole, dove le interazioni sono limitate ai contatti faccia-a-faccia e le relazioni con altre comunità sono impossibili. Se il lodigiano esistesse senza avere cognizione dell’esistenza di Milano, il contagio sarebbe più limitato: ma è evidente che si tratterebbe di una società ancora molto primitiva, dal momento che non potrebbe ricorrere alla divisione del lavoro “al di fuori dei propri confini”, inclusa la città di Milano. Il contagio esiste perché esiste la vita associata, perché ci sono grandi conglomerati di esseri umani perché c’è globalizzazione.
Passando al piano economico la pandemia ha avuto effetti drammatici sul sistema economico, scatenando una crisi economica senza precedenti, prima sul lato dell’offerta (a cause della chiusura della attività nelle are poste in lockdown) che poi rapidamente si è trasformata in crisi di domanda.
Fra le vittime della crisi vi è anche una illustre: la globalizzazione. In pochi mesi la libera circolazione di merci (e servizi), dei capitali e delle persone è stata, per diversi motivi, sospesa o limitata. In molti si domandano: che sarà della globalizzazione cosi come l’abbiamo vissuta finora?
Timori concernenti la tenuta del sistema mondiale degli scambi commerciali e dei flussi di denaro, in realtà esistevano già da prima della crisi sanitaria. Il rallentamento della crescita del commercio, le tensioni geopolitiche fra USA e Cina e l’ascesa di movimenti politici populisti o sovranisti avevano posto dubbi sul futuro della globalizzazione. l’accademico americano Maurice Obstfield argomenta che la globalizzazione produce intrinsecamente le condizioni economiche (ad esempio le disuguaglianze) e politiche (la crescita del malcontento sociale) che conducono al collasso della stessa, determinando un alternarsi di cicli d’integrazione e cicli di chiusura.
Riguardo alla seconda dimensione, uno dei motivi per cui la globalizzazione potrebbe sopravvivere alla crisi attuale risiede nella cosiddetta catena del valore globale. Le considerazioni concernenti la sopravvivenza della globalizzazione hanno due principali dimensioni: una di natura prevalentemente politica (e strategica) un’altra di natura economica. Riguardo alla seconda dimensione, uno dei motivi per cui la globalizzazione potrebbe sopravvivere alla crisi attuale risiede nella cosiddetta catena del valore globale (GVC) cioè la frammentazione delle produzioni che rendono molte industrie, in modo particolare la manifattura, fortemente interdipendenti fra paesi.
Per quanto riguarda la dimensione politica, anche qui vi è un legame con la GCV. Infatti, la pandemia ha messo in luce come l’interdipendenza economica possa mettere a serio rischio la sovranità sanitaria di un paese, tramite l’esempio dei respiratori e delle mascherine. Un altro elemento problematico riguarda i flussi migratori e turistici che verranno severamente penalizzati dalle nuove normative sul distanziamento.
In conclusione è possibile che nell’economia post-covid, la globalizzazione subisca una battuta d’arresto e che, come tanti altri aspetti della vita, “non sarà più la stessa”. L’integrazione e l’interdipendenza economica potrebbero assumere volti diversi amplificando tendenze, già in corso, che qui non sono state menzionate e che riguardano ad esempio la crescente importanza dei servizi (a discapito delle merci) e in modo particolare il ruolo che avranno i data, sviluppo e ricerca, i servizi digitali e i beni intangibili (McKinsey Global Institute, 2019).
Ludovica Monaco