Pensiero critico: la parte vuota del bicchiere mezzo pieno

La maggioranza delle persone ha un pessimo rapporto con l’esercizio critico. Ogni volta che si prende una posizione controcorrente,

o comunque che mira a mettere in discussione come stanno “normalmente” le cose, dopo ci si sente in dovere di giustificarsi, come se si fosse fatto qualcosa di male, sottolineando che il punto di vista critico non fa necessariamente di sé un catastrofista, un apocalittico o addirittura un complottista.

Siamo davvero fuori allenamento in quanto a “sollevamento dubbi”, che sopportiamo mal volentieri anche perché incapaci di riconoscere l’importanza della parte vuota di quel famoso “bicchiere mezzo pieno” che sentiamo nominare almeno una volta al giorno.

Dopotutto, nella nostra società pensare positivo è diventato un mantra al quale adeguarsi, pena l’esclusione dal consesso umano. Non propriamente imposto, ma caldamente suggerito. Fai in modo di sorridere sempre e di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, altrimenti ti rovinerai la vita.

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“Invece di spendere la nostra vita a correre verso i nostri sogni, siamo spesso in fuga dalla paura di fallire o dalla paura delle critiche”.    (Eric Wright)

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Non è strano che con un’idea drastica del genere piantata in testa, abbiamo sviluppato la pessima abitudine di mettere al bando qualsiasi manifestazione di dubbio o dissenso, sino a considerare chi lo esercita, magari come forma di analisi o problematizzazione, una minaccia concreta al nostro benessere esistenziale? Convinti che la ricetta dello star bene al mondo preveda tra i suoi ingredienti fondamentali la capacità personale di prendere tutto alla leggera, tutto come viene, perché tanto «finché la barca va lasciala andare» e quindi non vale la pena preoccuparsi e ‘farsi dei problemi’, automaticamente tendiamo a considerare l’opinione di chi si smarca dalla prassi mettendone in evidenza i punti dolenti, un’esagerazione inutile e comunque un fastidio.

Stiamo perdendo l’uso dell’ascolto e della tolleranza, ma anche della capacità di mettere in discussione ciò che appare giusto solo perché normale: perché “così fan tutti”.

Se prendi una posizione critica, anche aspramente critica, con l’intenzione di stimolare la riflessione individuale e far venire a galla ciò che altrimenti accetteremmo senza accorgercene, immediatamente diventi uno che vuole vedere il marcio ovunque, un pessimista cronico, una persona negativa e malsana: un leopardiano. Siamo presi dall’idea compulsiva di dover sorridere tanto e dubitare poco, attenti e intenti a mantenere una visione ottimistica: ma quanto ottimistica può essere tale visione se «un giorno senza sorriso è un giorno perso» e se basta questo per considerare il proprio tempo ‘perso’?

Fatichiamo a riconoscere il valore del pensiero critico, bollandolo, quasi a difendercene, per ‘negativo’. Siamo talmente “ottimisti” da non comprendere quanto di positivo possa esserci nel vedere il ‘lato nascosto della luna’.

Qui arriva il punto in cui ci sentiamo in dovere di giustificarci.

Dovremmo sforzarci di comprendere l’estrema utilità delle opinioni critiche, anche quelle più pungenti, che non devono essere necessariamente intese come opinioni «contro», ma come opinioni “per”: «a favore» del ragionamento, non certo pericoli da cui tenersi a distanza, ma opportunità. Non è un caso se l’ideogramma cinese che esprime il concetto di ‘crisi’ sia lo stesso adoperato per esprimere quello di ‘opportunità’.

Non si dovrebbe pensare che viaggiare controcorrente, contro la “normalità”, spesso assai lontana dalla sanità, sia necessariamente sbagliato, bisognerebbe infatti liberarsi da controproducenti barriere di buonismo e moralismo spesso intrise di ipocrisia.

Andrebbe creato in ognuno di noi uno spazio, avente la funzione di comprendere per poter trasformare, di ascoltare e introiettare, per poter poi costruire. Smettiamola di giustificarci, rendiamoci liberi.

Gaetano Sorbo