Un tempo gli allievi erano costretti in aula, allineati e corretti.
Oggi gli spazi sono mutati e con loro la modalità d’insegnamento. Fine anno scolastico. Tempo di verifiche e di bilanci. In ogni scuola che si rispetti si calcola il numero di attività svolte, per poter cambiare, aggiornare, rinnovare il prossimo anno.
Un tempo per attività didattiche si intendeva il numero di lezioni frontali, rigorosamente in aula, svolte dai singoli docenti nelle proprie discipline. Oggi si fa riferimento ai molteplici corsi di ogni tipo, svolti nei luoghi più disparati. Corso di recitazione: teatro. Corso di botanica comparata: giardino dell’ istituto ( per i più fortunati ) o orti, campagne, aiuole, e quant’altro presenti almeno un filo d’erba. Corso di informatica: sala computer. Corso di pittura e creatività: laboratorio artistico, appositamente adibito. Corso di educazione all’affettività: un po’ più complicato trovare spazi adeguati ( ci si potrebbe trovare nei guai ! ), quindi si dà fondo a tutti i possibili esperti in materia sessuale, dal medico al teologo.
Ma in tutto questo andirivieni fra un laboratorio e l’altro, una classe e l’altra, si sta ancora in aula? Quell’aula che, un tempo, era anche vista a volte come una prigione, ma che in fondo era il tuo mondo, la tua realtà, un pezzo della tua vita? Ma soprattutto, con tutti questi spostamenti, non è che alla fine ci si disperde maggiormente, ci si disorienta e si finisce per apprendere meno di quanto si dovrebbe?
Una cosa è certa, che tutti questi corsi comportano un grande dispendio di energie. Da parte dei docenti, che in genere impazziscono per incastrare tutti gli orari e far coincidere gli spazi disponibili per le varie attività. Da parte degli allievi, che fra lezioni curricolari e corsi di ogni genere non sanno più come dividere il loro tempo ( di norma, già impiegato in personali attività sportive, musicali e parrocchiali, extrascolastiche ). Da parte dei genitori, che non sanno come dividersi fra il corso di danza della figlia più piccola e quello di recitazione del figlio più grande: ma non sia mai detto che non si frequenti tutto!
D’ altra parte, i pedagogisti più acclamati affermano che i giovani sono cambiati, la società è cambiata: quindi, la maniera di far lezione deve – per forza – cambiare. D’ accordo, ma non sarà che tutti questi corsi sono soprattutto un modo per ottenere lauti finanziamenti dal Ministero? Non sarebbe meglio abituare i giovani a capire l’ importanza della costrizione in un banco, dell’ imparare a stare fermi, anche quando non se ne ha voglia, perché prima o poi ti capiterà di trovarti in ambienti e in situazioni, in cui non ti è consentito dimostrare le tue capacità cinetiche? Non sarebbe meglio tornare – almeno un pochino – a riaffermare l’ importanza dell’apprendimento sui libri, quegli odiati, bistrattati libri, dall’odore di inchiostro stampato, ma che erano i tuoi più fedeli compagni di viaggio nel cammino scolastico e che ti davano tanta sicurezza durante l’ interrogazione? Non sarebbe meglio ridurre un tantinello tutti questi corsi paralleli, che alla fine non fanno altro che togliere tempo alle discipline curricolari e distogliere l’ attenzione dei ragazzi? A voi la risposta, ma credo che essa si ritrovi nell’antico motto latino: in medio stat virtus.
Francesco Martini