Colpa dell’emergenza. Ma, il datore di lavoro continua oggi a poter decidere unilateralmente se adottare o no il lavoro da casa.
Lo smart working non è normato in modo specifico
Lavoratori e dirigenti si riferiscono a contratti collettivi che non prevedevano situazioni di lockdown. Dunque, mancano le norme specifiche.
Ma non basta. La mancanza di accordi, aziendali o individuali, offre il fianco all’insorgere di casi molto gravi. Datori di lavoro che danneggiano i lavoratori. E viceversa lavoratori esasperati, che fanno scappare i clienti o si fanno giustizia da soli. “Risulta urgente, dunque, disciplinare dettagliatamente gli obblighi e i diritti del dipendente che lavora da casa. E tutelare la sua salute psicofisica. Conviene anche a chi dà lavoro, perché risponde in sede civile oltre all’INAIL al risarcimento del danno biologico“.
Anche il datore di lavoro deve pagare i danni per patologie causate da smart working. Le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro del D.lgs. n. 81 del 2008 si applicano anche in caso di smart working? Sì, dicono i giuslavoristi come la milanese Elena Cescon. Ma sono poche le realtà che si occupano seriamente di questo aspetto.
Il diritto alla disconnessione
Lo smart worker non ha di solito una stanza della casa da convertire in spazio di lavoro. Pochissime imprese mandano però qualcuno a fare un sopralluogo per valutare l’idoneità degli spazi destinati al lavoro da casa. E quasi mai si adottano regolamenti per separare la sfera lavorativa da quella privata.
Anche se ci sono molti professionisti in giro, come Berni Ferretti, pronti ad aiutare le imprese a scrivere questi regolamenti. “Sono poche le realtà in cui il lavoratore da remoto vede rispettato il diritto alla disconnessione. Il lavoratore non dovrebbe sentirsi in obbligo di essere sempre reperibile per il datore di lavoro, perché l’azienda dovrebbe individuare orari di lavoro, misure di prevenzione e norme di comportamento. Accade, invece, che chi lavora da casa non riesca a fermarsi neanche per il lunch. La mancanza di tutte queste regolamentazioni sta creando impatti terribili sul benessere psico-fisico di chi lavora”.
Le patologie psichiche da smart working
Stanno aumentando le patologie psichiche come lo stress da lavoro e la sindrome da esaurimento emotivo, spiega il penalista Berni Ferretti. “Disagi che in alcuni casi sono sfociati in violenza domestica, infarto, ictus e follia. La magistratura va a sentenza sulla mancata tutela della salute mentale dei lavoratori. Le condizioni ‘stressogene’ da telelavoro generano violenza domestica delle madri sui figli e dei mariti sulle famiglie. Ma sono anche causa di infarti e ictus di manager, sopraggiunti dopo troppe ore al pc”.
Infine, ci sono i casi limite da codice penale: incomprensioni telefoniche, ricatti, minacce, licenziamenti via app. Qualcuno in preda alla follia spara in casa, altri vanno a minacciare i dirigenti o i proprietari dell’azienda.
L’ufficio in casa deve predisporlo l’azienda
Anche il datore di lavoro paga i danni per patologie causate da smart working. Il datore di lavoro ha il dovere di apprestare gli strumenti del lavoro a distanza. Dovrebbe comprare lui il computer per chi lavora da casa o farlo portare dall’ufficio.
Non richiedere che il lavoratore metta a disposizione il suo pc personale e poi pretendere di controllarlo da remoto. “Bisogna creare un ambiente idoneo a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti”, spiega Berni Ferretti. “L’articolo 2087 del codice civile sostiene che il datore di lavoro è tenuto ad attivarsi nell’adozione di tutte le misure necessarie per raggiungere questo traguardo. Ma anche ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente, mediante la creazione di condizioni lavorative ‘stressogene’”.
Anche il datore di lavoro deve pagare i danni per patologie causate da smart working
Nei casi già in tribunale, il lavoratore lamenta di avere subito un forte stress per l’attività lavorativa no stop. E lo prova producendo e-mail, tabulati di chiamate e messaggi del datore di lavoro a tutte le ore. E pure molto facile la prova del nesso causale per i casi più degenerativi (morte, infarto cardiaco) per quanto attiene la responsabilità del datore di lavoro.
Si denunciano le mansioni svolte, le condizioni di lavoro, la durata e l’intensità. Il risarcimento del danno biologico ai lavoratori vessati o ai loro eredi, ora spetta non solo a cura dell’INAIL. Ma tocca anche le tasche del datore di lavoro.