L’Omnic (Opera Nazionale Mutilati Invalidi Civili) è stata istituita a Pescara il 18 ottobre del 1961. È un’associazione nazionale apartitica che negli anni ha conservato le motivazioni e lo spirito dei padri fondatori. Oggi ha sede legale in via Aurofino a Salerno e svolge quotidianamente attività socio-assistenziali rivolte non solo al recupero funzionale e sociale degli invalidi civili, ma anche alla difesa della dignità di quanti vivono un disagio fisico e morale, quali portatori di diritti irrinunciabili garantiti dalla Costituzione e dagli accordi e norme internazionali. A guidarla è il presidente Vincenzo Siano, da sempre in prima linea a difesa dei diritti di cittadini italiani e stranieri.
Come e quando nasce l’Onmic? E quali sono i principi e i valori fondanti dell’Associazione?
Nasce inizialmente come associazione di categoria, perché a quei tempi, negli anni Sessanta, leggi chiare rispetto allo status di mutilati ed invalidi ancora non ve ne erano. Successivamente, con la codificazione delle leggi e la possibilità di dar vita a vere e proprie Onlus, l’associazione ha assunto anche dal punto di vista normativo il suo vero ruolo, ossia offrire servizi, assistenza, solidarietà a chi vive un disagio sociale o culturale. E continuiamo ad operare nel rispetto dello spirito dei padri fondatori con uno sguardo rivolto all’attualità e alle mutate esigenze della società. La Onmic è vivere insieme in armonia e nella condivisione di scopi e di idealità. L’uomo si è impoverito, invece, ha perso le idealità e i valori. Anzi ha innalzato il valore dell’economia e dei soldi a scapito dei veri valori della vita.
Quando ha scoperto o capito che il terzo settore sarebbe stato la tua vera vocazione?
Non parlerei di vocazione ma di amore ed empatia. Già nella mia adolescenza, quando mi sono formato al liceo artistico a Napoli, nelle organizzazioni laiche come gli scout, nelle scuole in cui ho insegnato e nei contesti politici che ho frequentato ho cercato di conoscere la mia interiorità per poter meglio capire gli altri. Nel mio piccolo, pur essendo figlio di un periodo storico che è quello del secondo dopoguerra fatto di tanta povertà e difficoltà, ho sempre cercato di dare un contributo agli altri. Mi sentivo povero ma non misero. Nei percorsi della mia vita, ogni volta che ho raggiunto una vetta, non ho mai tolto le corde alle mie spalle, per dare agli altri la possibilità di trovare un sentiero, un percorso tracciato.
Chi sono stati i suoi maestri e mentori?
Mi sono sempre affidato ai grandi della storia, agli artisti e agli uomini della strada, quelli che incontravo quotidianamente. Dalla lettura dei loro volti ho cercato di interpretare le loro ansie e le loro aspirazioni. Loro sono stati per me stimolo: per meglio conoscermi e per meglio conoscere. Per mia sfortuna, o fortuna, non ho avuto nessuno che mi guidasse nella gestione delle mie cose e ho dovuto imparare presto a gestirmi, di conseguenza ho capito come gestire le cose mie e degli altri, intendo come collettività. Con lo stesso spirito ho vissuto anche una lunga parentesi politica e sono stato consigliere comunale nel Partito Liberale dagli anni ’80 al 1993. Ho vissuto la politica non tanto come idealità, quanto invece come superamento del bisogno: dell’individuo e della collettività.
Chi fa parte della vostra squadra?
Ad oggi ci avvaliamo della professionalità di sociologi, operatori socio-sanitari, psicologici, medici, volontari di ogni età, cuore pulsante della nostra associazione. Senza di loro non esisteremmo. Noi puntiamo molto, da sempre, sull’ascolto come prima strumento per la comprensione dei problemi e subito dopo sulla sensibilizzazione volta al superamento di qualsiasi tipo di disagio. L’associazione è apartitica ma si interessa delle politiche sociali senza distinzioni di razza, sesso e colore della pelle. Tra i nostri fruitori di servizi abbiamo un’enormità di persone provenienti da varie realtà dell’Est e del mondo arabo. Ma anche tantissimi cittadini italiani. Per questa ragione abbiamo ricevuto una serie di riconoscimenti dalla Presidenza della Repubblica e dai ministeri delle Pari Opportunità, del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Salerno da qualche anno è diventata meta di sbarchi di migranti e oggi si trova a gestire il grande flusso di Ucraini che stanno scappando dalla guerra. Vi occupate anche di loro?
In linea con la nostra missione siamo stati, siamo e saremo in prima linea per fornire assistenza di qualunque genere a cittadini italiani e stranieri. Con tenacia lo abbiamo fatto anche durante la pandemia e adesso lo stiamo facendo egualmente aprendo le nostre strutture alle famiglie che, ormai quotidianamente, giungono qui dall’Ucraina. Collaboriamo sinergicamente con il Comune di Salerno per garantire ai profughi la prima accoglienza. Poi, in particolare la nostra associazione prevede l’accoglienza nelle diverse strutture residenziali che contano vari posti letto disponibili, uno sportello legale, psicologico e sanitario con il disbrigo delle pratiche e la regolarizzazione per adulti e minori, dei corsi di italiano per adulti e minori e una mediazione scolastica interculturale con l’inserimento dei minori negli istituti scolastici del territorio.
Come associazione avete qualcosa in programma nei prossimi mesi?
Si, una serie di progetti per l’emergenza umanitaria e la formazione. E poi c’è uno sportello di orientamento che vogliamo promuovere e valorizzare. Tante idee che vogliamo portare avanti con la passione e l’amore verso gli altri che da sempre ci contraddistingue.
Quali prospettive vede per il futuro? E quale sarà il ruolo del terzo settore?
Il Terzo Settore non è una realtà a sé stante, ma uno dei settori economici e produttivi. Le sue prospettive sono come quelle degli altri settori. Siamo noi addetti che dobbiamo riscoprire i veri valori della vita, essere proiettati più alle idealità e meno all’affarismo. Esistono molte organizzazioni sulla carta e ci sono ancora tanti furbi; mi auguro che questa sia l’occasione per operare un repulisti e verificare realmente chi opera nel sociale e chi opera attraverso il sociale per perseguire i propri interessi.
Gli italiani sono ancora un popolo solidale? Che cosa si potrebbe fare per appassionare le persone al volontariato?
L’Italia non è mai stata solidale; quale Italia? Noi abbiamo tante realtà perché il popolo italiano non si è mai formato: è stato il gioco di pochi e la speculazione di pochissimi. La solidarietà non appartiene ai popoli, appartiene all’individuo. Privarle di tutto ciò che è superfluo e farle ritornare alle origini. Dar loro un pezzo di terra per fargliene sentire la forza e il profumo. Della terra, o del mare, dipende dalle circostanze.
La solidarietà potrà salvare il mondo?
Una domanda all’apparenza semplice, alla quale si può rispondere in modo banale oppure in modo molto profondo. Non è la solidarietà che salverà il mondo, saranno la cultura e la conoscenza dei propri limiti; ma soprattutto la prospettiva, il saper guardare oltre e aspettare il nuovo giorno.